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dell'impero romano cap. lxiii. 265

grifizio agli scrupoli delicati di sua coscienza, e obbedendo alle voci della religione e della filosofia, scese dal trono per chiudersi con alacrità nel solitario recinto di un monastero1. Rassegnata che ebbe la corona, il successore gli lasciò godere in pace la fama di Santo cui aspirò consagrando il rimanente de’ suoi giorni, o allo studio, o alle pratiche della pietà cenobitica. E a Costantinopoli, e nel monastero del monte Atos, Fra Giosafatte, fu sempre rispettato come il padre temporale e spirituale dell’Imperatore, nè uscì mai dal proprio ritiro, che col carattere di ministro di pace, e per vincere l’ostinazione del suo figlio ribelle, e per ottenergli perdono2.

[A. D. 1341-1351] Il nostro monaco nella sua solitudine del chiostro addestrò alle guerre teologiche la mente, aguzzando contra i Maomettani e gli Ebrei, gli strali della controversia3 e difendendo la divina luce del

  1. Può rimediarsi alla manifesta confusione con cui Cantacuzeno nella sua ridicola Apologia racconta la propria disgrazia (l. IV, c. 39-42), col leggere la relazione men compiuta, ma più sincera di Mattia Villani (lib. IV, cap. 46 in Script. rer. ital., tom. XIV, pag. 268) e quella di Duca (c. 10, 11).
  2. Cantacuzeno ricevè nell’anno 1375 una lettera del Papa (Fleury, Hist. eccles. t. XX, p. 250), e varie autorità rispettabili mettono la sua morte ai 20 novembre 1419 (Duc., Fam. byzant. pag. 260). Ma se fu coetaneo di Andronico il Giovane, statogli compagno nella giovinezza e ne’ diporti, converrebbe attribuirgli una vita di cento sedici anni, longevità, che trattandosi di un personaggio tanto famoso, non avrebbe sfuggito alle osservazioni generali, se fosse stata vera.
  3. I quattro discorsi di Cantacuzeno vennero pubblicati colle stampe a Basilea nel 1543 (Fabricius, Bibl. graec. t. VI, p. 473). Li compose a quiete di un proselito che i