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dell'impero romano cap. lxiii. 263

lasciò il rivale in Tessalonica, residenza reale situata sulla frontiera, onde ritorlo in tal guisa alle seduzioni di una città voluttuosa, e far sicura colla sua lontananza la tranquillità della metropoli; ma per questa lontananza medesima, perdè molta parte di potere sul figlio di Andronico, che attorniato da cortigiani o inconsiderati, o maligni, prese scuola di abborrire il tutore, di riguardarsi come confinato in esilio, di tentar tutto per ricuperare i proprj diritti. Collegatosi di soppiatto col despota della Servia, non andò guari che col contegno di aperto nemico si palesò. Cantacuzeno, che stava sul trono d’Andronico il Vecchio, difese la causa dell’età e della preminenza, quella causa medesima, che essendo giovine, avea con tanto vigor combattuta. Le sollecitazioni da lui fattesi all’Imperatrice madre, poterono sì, che questa donna, promettendogli la sua mediazione, imprendesse un viaggio a Tessalonica; ma ne tornò addietro senza alcun frutto; e per vero dire, a meno che le avversità non avessero operato un gran cambiamento nell’animo di Anna di Savoia, è lecito il dubitare del fervore, e anche della sincerità con cui la sua commissione adempiè. Ben Cantacuzeno, però tenendo sempre con mano ferma e vigorosa lo scettro, aveva incaricato Anna di rimostrare al figlio suo che i dieci anni dell’amministrazione del suocero stavano per finire, essere egli già stanco de’ vani onori del Mondo che avea posseduti assai lungo tempo, non sospirare oggi mai che il riposo del chiostro e la corona del Cielo. Ma se tali fossero state veramente le sue intenzioni, potea, rassegnando allora lo scettro, restituire la pace all’Impero, e con un atto di giustizia mettere in pace la propria coscienza. Così