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dell'impero romano cap. lxiii. 261

imperiale non vidersi che vasellami di terra e peltro, e la vanità sostituì alle gemme e all’oro il vetro e i rami dorati1.

Or mi affretto a terminare la storia individuale di Giovanni Cantacuzeno2, divenuto per la sua vittoria padron dell’Impero. Lo scontento di entrambe le fazioni ne turbò il regno, e i suoi trionfi oscurò. I partigiani di lui riguardarono nell’amnistia generale un atto di perdono ai nemici, di dimenticanza degli amici3. Laonde dopo aver veduto per la causa di Cantacuzeno confiscati o saccheggiati i proprj beni, o ridotti allora ad elemosinare per le strade di Costantinopoli, imprecavano l’interessata magnanimità del loro Capo, che salito al trono dell’Impero, del suo patrimonio

  1. Niceforo Gregoras (l. XV, 11) dice che vi erano però rimaste alcune perle fine, ma radamente sparse; quanto al rimanente delle gemme παντοδαπην χρσιαν προς το διαυγες, un vario colore di trasparenza.
  2. Cantacuzeno continua la Storia di sè e dell’Impero, incominciando dal suo ritorno a Costantinopoli fino all’anno successivo alla rinunzia di Mattia, figlio dello stesso Cantacuzeno (A. D. 1357, l. IV, c. 1-50, p. 705-911). Niceforo Gregoras termina la sua Storia al Sinodo di Costantinopoli nell’anno 1351 (l. XXII, c. 3, p. 660), perchè il rimanente sino alla fine del libro vigesimoquarto, p. 617, non tratta che di controversie. Gli ultimi quattordici libri di Niceforo si trovano tuttavia in manoscritto, nella Biblioteca nazionale di Francia a Parigi.
  3. L’imperatore Cantacuzeno (lib. IV, c. 1) parla delle proprie virtù, e Niceforo Gregoras delle lagnanze di que’ partigiani che le virtù del lor Capo riducevano alla miseria. Ho attribuito a questi infelici le espressioni, che dopo la restaurazione si adoperavano dai nostri poveri cavalieri, o partigiani di Carlo.