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256 storia della decadenza

accolse con umanità; ma dal personaggio di confederato, Giovanni Cantacuzeno a mano a mano discese a quello di supplicante, di ostaggio e di prigioniero, ridotto a mendicare udienza da un Barbaro, arbitro in quel momento della vita e della libertà d’un Imperatore romano. Nondimeno, non vi furono seducenti offerte che potessero movere il Cral a violare le leggi dell’ospitalità; e solamente vedutosi costretto a seguir la parte di chi era più forte, rimandò, senza fargli verun insulto, l’amico suo Cantacuzeno, che si trasferì in altre bande a correre nuove vicissitudini di pericoli e di speranze. [A. D. 1341-1347] Le fazioni de’ Cantacuzeni e de’ Paleologhi, de’ Nobili e de’ plebei, infestavano le città delle loro dissensioni, e sollecitavano, or l’una, or l’altra, i Bulgari, i Serviani, i Turchi ad ultimare, chè fu questa la conclusione, l’esterminio di entrambe. Cantacuzeno intanto deplorava le calamità, delle quali fu autore e vittima in uno; e da una fatale esperienza di sè medesimo dedusse una giusta ed arguta osservazione intorno alla differenza che avvi tra le guerre civili e le guerre straniere; „le straniere, dic’egli, somigliano ai calori estivi dell’atmosfera, sempre tollerabili, talvolta utili; ma le civili non possono venir paragonate che ad una febbre ardente che i principj della vita diminuisce e distrugge„1.

L’imprudenza commessa dalle nazioni venute a civiltà, allorchè hanno frammesse nelle proprie contese le popolazioni de’ Barbari o de’ Selvaggi, partorì mai

  1. Niceforo Gregoras, l. XII, c. 14. È cosa sorprendente che Cantacuzeno non abbia inserito ne’ suoi scritti questa giusta ed ingegnosa comparazione.