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var resistenza, della città e della reggia. Il Comandante in capo disdegnando gli avvisi che sull’imminente pericolo gli venivano dati, dormiva tranquillamente sul proprio letto abbandonandosi ad una sicurezza figlia dell’ignoranza, intanto che il debol Monarca, non mai sgombro l’animo d’inquietudini, stavasi in mezzo alle sue turbe di paggi e d’ecclesiastici. Non andò guari che i suoi terrori prendendo un fondamento reale, si udirono per ogni intorno le acclamazioni che gridavano il nome e la vittoria dal giovine Andronico. Prostrato a’ piedi di una immagine della Madonna, inviò umilmente messi per consegnare lo scettro al vincitore e chiedergli in dono la vita. Convenevole e rispettosa fu la risposta di questo: egli s’incaricava, dicea, del governo per arrendersi ai voti del popolo; ma non quindi il suo avo rimarrebbe privo della propria dignità e supremazia. Il vincitore gli lasciava il suo palagio, assegnandogli ventiquattromila piastre d’oro, la metà della qual somma l’imperiale erario avrebbe fornita, l’altra metà si leverebbe dalle pesche di Costantinopoli. Ma spogliato Andronico del potere, cadde ben presto in dimenticanza e in dispregio. Il silenzio del suo palagio non era più interrotto che dalle bestie domestiche e dai polli del vicinato che i cortili solitarj ne ingombravano impunemente. Il suo assegnamento fu ridotto a diecimila piastre d’oro1 che a stento gli venivan pagate. Ad aggravarne i patimenti si ag-

  1. Ho cercato di conciliare le ventiquattromila piastre di Cantacuzeno (l. II, c. 1) colle diecimila di Niceforo Gregoras (l. IX, c. 2). Il primo voleva nascondere, l’altro procurava di esagerare le calamità del vecchio Imperatore.