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dell'impero romano cap. lxiii. 235

Andronico che si trovava compreso nella scomunica, tremò sull’orlo dell’abisso perfidamente scavato sotto i suoi passi. Fatto immediatamente assembrare un sinodo di vescovi a fine di discutere questo punto importante, venne unanimemente riprovato quell’impeto di stizza che avea suggerito il clandestino anatema al Prelato; ma poichè la forza di un anatema non poteva essere sciolta che da chi l’avea pronunziato, e un Patriarca rimosso dalla sua sede non godea la facoltà di concedere una tale assoluzione, si giudicò non esservi potenza sulla terra che potesse togliere il suo valore a quella sentenza. Venne costretto l’autor del disordine a manifestare qualche debole contrassegno di aver perdonato, e di essere pentito di quell’atto del proprio sdegno; ma non quindi tranquilla la coscienza dell’Imperatore, il debole principe non desiderava, men d’Atanasio medesimo, di veder riascendere il soglio patriarcale a quel solo Prelato che gli poteva restituire la pace. Nel mezzo di una notte, un frate dopo avere urtato aspramente contro la porta della stanza ove l’Imperatore dormiva, gli annunziò una rivelazione di peste, fame, tremuoto e innondazione. Atterrito Andronico, balza dal letto, passa il rimanente della notte in preghiere, e intanto sentì o gli parve sentir tremare la terra. Immantinente, seguìto da un corteggio di Vescovi, si trasferì alla celletta di Atanasio, e questo Santo, per opera di cui era il messaggio che aveva empiuto di spavento l’Imperatore, dopo essersi fatto convenevolmente pregare, acconsentì di assolvere il Principe e di ritornare al governo della Chiesa di Costantinopoli; ma invece che le passate disgrazie ne avessero ammollito l’animo, l’indole sua era divenuta ancor più aspra nella so-