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dell'impero romano cap. lxii. 219

veri, pericoli dell’equinozio costrinsero l’Angioino a ripararsi alle coste della Calabria. Nel medesimo tempo, l’ammiraglio de’ Catalani, il celebre Ruggero da Loria conducendo la sua invincibile squadra a sgomberare il canale, la flotta francese, più abbondante di navigli da trasporto che di galee, rimase, in parte arsa, in parte calata a fondo; il quale avvenimento assicurò l’independenza alla Sicilia, e a Paleologo il trono. Ma questo principe trovavasi agli estremi del viver suo, ed ebbe solamente prima di morire il conforto di sapere la sciagura d’un nemico da lui abborrito quanto apprezzato, perchè si era forse lasciato convincere dall’opinione allor generale, che se Carlo non avesse avuto Paleologo per avversario, era venuto l’istante in cui Costantinopoli e l’Italia obbedissero ad un sol padrone1. Da quel punto in appresso, la vita di Carlo non fu che una sequela continua di infortunj. Minacciata dai nemici la sua Capitale, fattogli prigioniero il figlio, Carlo morì senza avere ricuperata la Sicilia; che dopo una guerra di venti anni, venne per Trattato disgiunta dal regno di Napoli, e come regno independente, in un ramo secondogenito della Casa d’Aragona fu trasferita2.

    stata una precedente corrispondenza con Pietro d’Aragona (nullo communicato consilio), il quale si trovò a caso con una flotta e con un esercito alla costa dell’Affrica (lib. 1, c. 4-9).

  1. Niceforo Gregoras (l. V, c. VI) ammira la saggezza della Providenza in questo mutuo equilibrio degli Stati e dei Principi. Per l’onore di Paleologo gli augurerei che tale osservazione fosse stata fatta da un Italiano.
  2. V. la Cronaca del Villani, il volume undecimo degli