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frica a Palermo, entrò nella città fra i plausi de’ cittadini che Monarca e liberatore della Sicilia il nomavano. Eguali furono la costernazione e lo stupore di Carlo in udendo la ribellione di un popolo, cui per sì lungo tempo e impunemente avea calpestato; per lo che nel primo impeto di dolore e di divozione fu udito esclamare: „Gran Dio, se hai risoluto umiliarmi, fa che almeno io non discenda con tanto precipizio dal sommo della grandezza„. Richiamata dalla guerra di Grecia la sua armata navale con tanta rapidità che già i porti dell’Italia ne erano pieni, Messina per sua giacitura, si trovò esposta ai primi colpi della regale vendetta. Privi di fiducia nelle proprie forze, e di speranze di soccorso dagli stranieri, i cittadini avrebbero aperte le porte, se il Monarca avesse voluto assicurarli del perdono, e del mantenimento degli antichi lor privilegi; ma questi avea già riassunto l’orgoglio primiero; e le supplichevoli istanze, fattegli dal Legato pontifizio, non valsero ad ottenere da lui che la promessa di risparmiare la città, a patto che gli venissero consegnati ottocento ribelli, de’ quali avrebbe egli somministrato il catalogo, e la cui sorte sarebbe intieramente dall’arbitrio suo dipenduta. Mentre la disperazione de’ Messinesi riaccendeva il loro coraggio, Pietro d’Aragona in lor soccorso accorrea1, e la scarsezza de’ vi-

  1. Due Scrittori del paese raccontano le particolarità di questa sommossa e della vittoria che ne venne in appresso, Bartolommeo di Neocastro (nel Muratori, t. XIII), e Nicola Speciale (nel Muratori, t. X) l’uno contemporaneo, l’altro vissuto nel secolo successivo. Lo Speciale animato da patriottici sentimenti si sdegna del vocabolo ribelle, e nega esservi