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dell'impero romano cap. lxii. 217

Procida, il quale avea protestato, che s’ei sospettasse la sua mano sinistra consapevole delle intenzioni della sua destra, non indugierebbe a reciderla. Con tale artifizio profondo e terribile apparecchiava la mina, benchè non potrebbe accertarsi, se la sedizione di Palermo, da cui lo scoppio ne derivò, fosse accidentale o premeditata.

Nel giorno della vigilia di Pasqua, intanto che una processione di cittadini, allor disarmati visitava, una chiesa fuor di città, una donzella d’illustre nascita fu villanamente insultata da un soldato francese1, la cui audacia venne punita subito colla morte. I colleghi dell’ucciso che sopravvennero, dispersero per un momento la calca; ma il numero e il furor prevalendo, i cospiratori afferrarono l’occasione, onde dilatatosi l’incendio per tutta l’isola, ottomila Francesi rimasero indistintamente trucidati in questa catastrofe cui fu dato il nome di Vespero Siciliano2. Dispiegata in tutta la città la bandiera della libertà e della Chiesa, per ogni dove o la presenza, o lo spirito di Procida incoraggiava la sommossa, intantochè Pietro d’Aragona, veleggiando dalla costa d’Af-

  1. Nicola Speciale dopo avere enumerati gli aggravj che i suoi compatriotti patirono, aggiunge ritraendo la vera indole della gelosia italiana: Quae omnia et graviora quidem, ut arbitror, patienti animo Siculi tolerassent, nisi quod primum cunctis dominantibus cavendum est, alienas faeminas invasissent (l. 1, c. 2, p. 924).
  2. Fu ricordata per lungo tempo ai Francesi questa terribil lezione. „Se mi fanno montare la stizza, dicea Enrico IV, andrò a far colezione a Milano e a desinare a Napoli„ — „Vostra maestà, rispondea l’Ambasciatore spagnuolo, potrebbe arrivare in Sicilia all’ora del Vespero„.