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dell'impero romano cap. lxii. |
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dello zio, e tali atti di perfidia, siccome prove di virtù sublimissime dall’opinione pubblica venian divulgate1. Intanto le insistenze de’ Nunzj pontifizj per veder mandata a termine la santa opera, facendosi vie più forti presso Michele, questi si vide ridotto ad una sincera narrazione di quanto avea fatto e sofferto per essi. Non poteano revocare in dubbio che i settarj d’entrambi i sessi e di tutti i gradi, non fossero stati per opera di lui spogliati e d’onori, e di beni, e di libertà. Il registro delle confiscazioni e de’ gastighi contenea inoltre personaggi fra i più cari all’Imperatore, e che maggiormente ne aveano meritati i favori. I medesimi Nunzj vennero condotti nelle carceri, ove furono mostrati loro incatenati a quattro angoli d’una prigione quattro principi di sangue imperiale, che si divincolavano, e scoteano con impeto di rabbia i lor ferri. Due di questi uscirono, l’uno sottomettendosi, l’altro andando alla morte; i due rimanenti, in pena di lor pertinacia, perdettero gli occhi; per la qual crudele e funesta tragedia, dolenti apparvero que’ pochi Greci medesimi che propensi all’unione con Roma si erano manifestati2. Non v’ha
- ↑ Questa confessione sincera ed autentica della estremità cui si vedea ridotto Michele, è stata scritta in un latino barbaro da Ogier, che s’intitola protonotario degl’interpreti; indi il Wading l’ha copiata dai manoscritti del Vaticano, A. D. 1278. n. 3. Dello stesso scrittore ho trovati a caso gli Annali dell’ordine Franciscano, Fratres Minores, in 17 volumi in folio, a Roma nell’anno 1741, in mezzo agli scartafacci d’un libraio.
- ↑ V. il sesto libro di Pachimero, e soprattutto i capitoli 1, 11, 16, 18, 24, 27; tanto più meritevoli di fiducia, perchè, parlando di questa persecuzione, manifesta piuttosto il dolore che l’astio.