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dell'impero romano cap. lxii. 209

dello zio, e tali atti di perfidia, siccome prove di virtù sublimissime dall’opinione pubblica venian divulgate1. Intanto le insistenze de’ Nunzj pontifizj per veder mandata a termine la santa opera, facendosi vie più forti presso Michele, questi si vide ridotto ad una sincera narrazione di quanto avea fatto e sofferto per essi. Non poteano revocare in dubbio che i settarj d’entrambi i sessi e di tutti i gradi, non fossero stati per opera di lui spogliati e d’onori, e di beni, e di libertà. Il registro delle confiscazioni e de’ gastighi contenea inoltre personaggi fra i più cari all’Imperatore, e che maggiormente ne aveano meritati i favori. I medesimi Nunzj vennero condotti nelle carceri, ove furono mostrati loro incatenati a quattro angoli d’una prigione quattro principi di sangue imperiale, che si divincolavano, e scoteano con impeto di rabbia i lor ferri. Due di questi uscirono, l’uno sottomettendosi, l’altro andando alla morte; i due rimanenti, in pena di lor pertinacia, perdettero gli occhi; per la qual crudele e funesta tragedia, dolenti apparvero que’ pochi Greci medesimi che propensi all’unione con Roma si erano manifestati2. Non v’ha

  1. Questa confessione sincera ed autentica della estremità cui si vedea ridotto Michele, è stata scritta in un latino barbaro da Ogier, che s’intitola protonotario degl’interpreti; indi il Wading l’ha copiata dai manoscritti del Vaticano, A. D. 1278. n. 3. Dello stesso scrittore ho trovati a caso gli Annali dell’ordine Franciscano, Fratres Minores, in 17 volumi in folio, a Roma nell’anno 1741, in mezzo agli scartafacci d’un libraio.
  2. V. il sesto libro di Pachimero, e soprattutto i capitoli 1, 11, 16, 18, 24, 27; tanto più meritevoli di fiducia, perchè, parlando di questa persecuzione, manifesta piuttosto il dolore che l’astio.