Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XII.djvu/212

208 storia della decadenza

de’ Latini e delle cose nuove che andavansi introducendo, oltre che inviliva con questa duplice ipocrisia la sua dignità, incoraggiava e puniva nel medesimo tempo la disobbedienza de’ proprj sudditi. Col consenso di entrambe le Chiese, essendosi pronunziata sentenza di anatema contro tutti gli scismatici pertinaci, non arrossì Paleologo di farsi egli medesimo delle censure ecclesiastiche esecutore, e di adoperare, quando le vie della persuasione tornavano inutili, le minacce, le prigionie, gli esigli, i flagelli, le amputazioni di membra, le quali provvisioni, dice uno Storico, sono la pietra di paragone del coraggio e della viltà. Due principi greci, i quali regnavano tuttavia con titolo di despoti sull’Italia, sull’Epiro e sulla Tessaglia, benchè si fossero sottomessi al sovrano di Costantinopoli, ricusarono le catene del Pontefice di Roma; e armata mano, e con buon successo, il loro rifiuto sostennero. Protetti da essi, i vescovi e i monaci fuggitivi adunarono sinodi d’opposizione, che rinversavano i nomi d’eretici e per giunta i più ingiuriosi di apostati, sui loro persecutori. Il principe di Trebisonda avendo assunto il titolo imperiale, di cui veniva divulgato indegno il vil Paleologo, gli stessi Latini di Negroponte, di Tebe, di Atene e della Morea, perdettero il merito della conversione, collegandosi, quali apertamente, quali in segreto coi nemici dell’Imperator di Bisanzo. I generali più prediletti da esso, e che faceano parte di sua famiglia, disertavano, tradivano un dopo l’altro una causa cui riguardavano come sacrilega. Contro di lui cospirarono e la sorella Eulogia e la nipote, e due cugine, Maria, regina de’ Bulgari, altra nipote di Paleologo, che negoziò col sultano d’Egitto la perdita