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scismatici, la scomunica contro i loro confederati ed amici, un’indulgenza plenaria a chi li guerreggiava, sollecitò i soccorsi di Luigi IX a favore dell’infelice congiunto di questo Monarca, chiedendo pel servigio della guerra santa la decima parte delle rendite ecclesiastiche della Francia e dell’Inghilterra1. Lo scaltro Michele, che spiava attentamente i progressi della nascente procella, si adoperò a sospendere gli atti nimichevoli del Pontefice, e a calmarne lo sdegno per via di supplichevoli ambascierie, e di lettere rispettose, nelle quali però destramente insinuava che un saldo Trattato di pace sarebbe stato il primo passo verso la riconciliazione delle due Chiese. Ma un sì patente artifizio, non potea far breccia negli animi della Corte di Roma, la quale rispose a Michele essere d’uopo che la penitenza del figlio precedesse il perdono del padre, e spettar solo alla Fede il preparar le basi della lega e dell’amicizia. Dopo molti indugi e politici andirivieni, la vicinanza del pericolo e lo stile incalzante di Gregorio X, costrinsero Paleologo ad imprendere una seria negoziazione: egli allegò l’esempio del gran Vatace al clero greco, il quale credendo leggere nell’animo del principe, non mostrò rifuggire dalle prime vie rispettose e conciliatorie propostegli; ma allor quando vide imminente la conclusione di un definitivo Trattato, i prelati in chiare note si espressero, che essendo i Latini, non solo di nome, ma di fatto, eretici, ogni Greco si trovava nell’obbligo di disprezzarli come la più vil feccia del ge-

  1. V. Ducange (Hist. C. P., l. V, c. 33, tolta dalle lettere di Urbano IV).