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dell'impero romano cap. lxii. | 189 |
dente manifestò di riconoscere e l’innocenza, e il potere d’un uomo sì ragguardevole.
Ma oltre alla rimembranza dell’oltraggio che questa sua innocenza avea ricevuto, troppo manifesto era il potere, perchè vi fosse speranza di arrestarne il corso in sulla via che l’ambizione gli apriva1. Nel Consiglio tenutosi dopo la morte di Teodoro, primo Michele a giurar fedeltà a Muzalone, fu indi il primo ad infrangere un tal giuramento; ma si condusse con tanta scaltrezza, che trasse profitto dalla strage accaduta pochi giorni dopo, senza partecipar del delitto, o almeno del rimprovero del delitto. Quando si venne alla scelta di un reggente, ponendo destramente in conflitto le passioni e gli interessi contrarj de’ candidati, se ne cattivò i voti, in guisa che ciascuno per parte sua protestava non esservi alcuno, dopo di sè, che più di Paleologo meritasse la preferenza. Col titolo di gran Duca, accettò, o si arrogò il potere esecutivo dello Stato, sintanto che durasse la lunga minorità del giovine Cesare. Nulla avendo a temere dal Patriarca, che era solamente un fantasma insignito d’onori, seppe colla superiorità del suo ingegno o allettare, o dileguare le fazioni de’ Nobili. Avea Vatace depositati i tesori, venuti dalla sua assegnatezza, entro un Forte situato alle rive dell’Ermo, e da’ suoi fedeli Varangi difeso; ma il Contestabile, che avea mantenuta la
- ↑ Senza paragonare Pachimero a Tacito, o a Tucidide, mi è forza commendarne l’eloquenza, la chiarezza, ed anche, fino ad un certo punto la franchezza, adoperata allorchè racconta l’innalzamento di Paleologo (l. I, c. 13-32, l. II, c. 1-9). Più circospetto Acropolita, meno esteso Gregoras si dimostra.