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dell'impero romano cap. lviii |
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non veniva punito che coll’infamia e colla perdita della causa; bensì il suo campione, o testimonio, ad obbrobriosa morte andava soggetto. In molti casi, il diritto di permettere, o proibire la pugna riserbavasi ai giudici; ma in due circostanze diveniva conseguenza inevitabile della disfida. Erano queste, se un fedele vassallo avesse data mentita a un de’ suoi pari sopra qualche ingiusta pretensione da questo armatasi sopra una parte de’ dominj del comune Signore; o se un litigante, mal contento della sentenza ardiva tacciare l’onore e l’equità de’ giudici della Corte. Gli era lecito il farlo, ma sotto la clausola severa, quanto pericolosa, di battersi nel medesimo giorno con tutti i Membri del tribunale, e sin con quelli che trovati eransi assenti all’atto della condanna, bastando che ei fosse vinto da un solo per soggiacere alla morte, e alla infamia. Ella è cosa probabile assai che niuno si avvisasse di tentare un tale esperimento, ove niuna speranza vedeasi di vittoria. Il Conte di Giaffa merita encomj per l’accortezza, con cui nelle Assise di Gerusalemme, anzichè cercare di agevolarli, s’adoperò a tor di mezzo i combattimenti giudiziarj. Ei li riguardava piuttosto fondati sui principj dell’onore che su quelli della superstizione1.
- ↑ A meglio intendere quest’antica ed oscura giurisprudenza mi è stata d’un possente soccorso l’amicizia di un dotto Lord, che ha esaminata con pari accuratezza e sapere la storia filosofica delle leggi. I lavori di cotest’uomo potranno un giorno arricchire la posterità; ma i meriti del Giudice e dell’Oratore non possono essere apprezzati siccome si dee che dai soli contemporanei.