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356 | storia della decadenza |
rietà di vicissitudini, i Crociati stettero fermi in rispondere, che alieni dall’esaminare i diritti particolari di ciascun settario di Maometto, l’usurpatore di Gerusalemme, qualunque ne fosse il nome, o il paese, aveano per nemico; quindi lo consigliavano, che invece di additar loro i modi, o i patti del pellegrinaggio, si attenesse al più prudente partito di consegnare, come lor sacro e legittimo retaggio, ai Crociati la città e la provincia: e aggiungevano non aver egli altra via per serbarseli amici, e sottrarsi alla rovina che lo minacciava1.
Ciò nulla meno, mentre questa meta gloriosa della loro impresa vedean sì vicina, che toccarla quasi pareano, non assalirono la città di Gerusalemme, che dieci mesi dopo sconfitto Kerboga. Nel momento della vittoria si affievolirono lo zelo e l’ardor de’ Crociati, i quali, anzichè profittare, col maggiormente innoltrarsi, del terrore che aveano per ogni dove diffuso, solleciti apparvero di sbandarsi per godere meglio le molli delizie della Sorìa. Forse un sì inconcepibile indugio, non meno a mancanza di subordinazione, che ad estenuata forza, vuol essere attribuito. Nelle penose e variate fazioni dell’assedio di Antiochia, avean perduta tutta la loro cavalleria, e migliaia di guerrieri d’ogni grado, o disertori, o rimasti vittime della penuria e delle infermità. L’abuso stesso che fecero dell’abbondanza, una terza carestia generò;
- ↑ V. le transazioni tra il califfo d’Egitto e i Crociati in Guglielmo di Tiro (l. IV, c. 24; l. VI, c. 19) e in Alberto d’Aix (l. III, c. 39), i quali scrittori, a quanto apparisce, meglio de’ contemporanei, valutavano l’importanza delle medesime.