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dell'impero romano cap. lviii 335


[A. D. 1097] Più irritato che avvilito si mostrò Solimano della perdita della sua capitale. Fatta nota con manifesti ai suoi sudditi e confederati, la straordinaria invasione de’ Barbari di Occidente, gli Emiri turchi alla voce del Principe e della religione obbedirono. Molte bande di Turcomanni alle bandiere del Sultano si affrettarono; onde le forze congiunte del medesimo, con un calcolo vago, si fecero dai Cristiani ascendere a dugento ed anche trecento sessantamila uomini di cavalleria. Ciò nullameno Solimano aspettò con pazienza, che i Cristiani si fossero allontanati dal mare, e dalle frontiere della Grecia, e volteggiando ai lor fianchi, li seguitò. Pieni questi d’una imprudente fiducia, marciarono in due corpi separati, e posti fuor d’abilità di vedersi l’un l’altro; onde poche miglia di qua da Dorilea nella Frigia, il corpo di sinistra, il men numeroso, fu sorpreso da Solimano che lo assalì, e quasi sconfisse1. Il caldo della stagione, il nembo di frecce, le grida degli Ottomani avendo sparso per ogni dove il terrore e la confusione, i Crociati, perduta ogni speranza, si sbaragliarono, e se la inegual pugna si resse, fu dovuto anzi che all’abilità, al valor personale di Boemon-

    spregevole; questa pregiudicata opinione cova tuttavia nelle anime di alcuni che si pretendono essere veri cristiani.

  1. Il Baronio ha tratta in campo una lettera molto apocrifa, e scritta al mio fratello Ruggero (A. D. 1098 n. 15). Giusta la medesima l’esercito nemico era composto di Medi, di Persiani e di Caldei: sia! il primo assalto fu a danno dei nostri; è vero anche questo: ma per qual motivo Goffredo di Buglione e Ugo si danno il titolo di fratelli? osservo inoltre che vien dato a Tancredi il nome di filius. Figlio di chi? Non certamente di Ruggero o di Boemondo.