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dell'impero romano cap. lviii |
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del merito del pellegrinaggio i deboli e gl’indigenti, la folla di coloro che consumavano le vettovaglie senza guadagnarsele col proprio valore, avrebbe potuto fermarsi negli Stati del greco Imperatore, sintantochè i lor compagni più atti a tale spedizione, le avessero aperto e assicurato il cammino del Santo Sepolcro. Ma venne permesso di affrettarsi a visitarlo, chè non era ancora liberato, a quante ciurme, o valorose, o non valorose passarono il Bosforo. Avvezze ai climi settentrionali, le esalazioni e i cocenti raggi del sole, ne’ deserti della Sorìa non poterono sopportare. Con insensata prodigalità consumarono gli adunamenti d’acque e di viveri; per la copia loro le interne parti del paese estenuavano affatto; già lontano avevano il mare, e i Greci mal contenti de’ Cristiani di tutte le Sette, dal ladroneccio e dalla voracità de’ latini confratelli lungi fuggivano. Pervenuti a sì orribile necessità, la fame per fin li costrinse a cibarsi delle carni de’ lor prigionieri, e adulti, e fanciulli; con che procacciatisi il nome e la riputazione di cannibali, si accrebbe ne’ Saracini l’orrore che contra gli europei idolatri nudrivano1. A certi esploratori introdottisi nella cucina di Boemondo vennero mostrati alcuni corpi umani posti allo spiedo, e i Normanni credettero alto accorto l’accreditare una vociferazione che, se maggior terrore incutea negli Infedeli, il loro odio parimente contra i Cristiani aumentava2.
- ↑ Qui l’Autore a torto allude di nuovo al culto renduto da’ Cattolici alle immagini. (Nota di N. N.)
- ↑ Questa fame da cannibali, talvolta reale, e più sovente menzognera e artifiziosa, viene affermata da Anna Comnena