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storia della decadenza |
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menti, il più giovine de’ proprj figli. Il Conte di S. Gille e di Tolosa, che nella sua provincia meridionale, quasi straniero di lingua e nazione al re di Francia, di questo riconosceva appena la supremazia, annunziò superbamente alla presenza de’ suoi centomila uomini, di non voler essere che servitore e soldato di Cristo, e che il Principe greco potea ben contentarsi d’un negoziato di amicizia e di lega, come fra Principi eguali si usa; colla quale ostinata resistenza rendè maggiore, agli occhi almeno de’ Greci, il merito della sommessione, a cui in appresso si uniformò. „Ei splendea fra i Barbari„, dice la principessa Comnena, „come il Sole fra le stelle del Firmamento„. L’Imperatore si disacerbò col suo fedele Raimondo, narrandogli l’avversione che nel suo animo aveano destata, la fama e l’audacia dei guerrieri francesi, e i sospetti che sui disegni di Boemondo avea concepiti. Istrutto per lunga esperienza ne’ politici accorgimenti, il conte di Tolosa non durò fatica ad accorgersi, che menzognera esser potea l’amicizia di Alessio, ma che costui nell’odiare almeno era sincero1. Lo spirito di cavalleria nella persona di Tancredi, fu l’ultimo a cedere, nè eravi chi potesse arrossire nel seguir gli esempj d’un cavaliere sì valoroso. Sdegnati parimente l’oro e gli encomj del Principe greco, castigò alla presenza di lui la tracotanza di un patrizio; indi sotto le spoglie di semplice soldato fuggì nell’Asia, cedendo, comunque il sagrifizio fosse penoso al suo orgoglio, alla autorità di Boemondo e all’interesse della causa
- ↑ Sensit vetus regnandi, falsos in amore, odia non
fingere; Tacito VI, 44.