Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano XI.djvu/29


dell'impero romano cap. liv 23

racino condusse lo stesso Carbeas dinanzi al Califfo, e il Commendator de’ credenti stese lo scettro proteggitore all’implacabile nemico de’ Greci; il quale o costrusse, o affortificò nelle montagne situate fra Sivas e Trebisonda, la città di Tefrica1, abitata anche oggi giorno da un popolo feroce e sfrenato; e le colline di que’ dintorni, coperte vidersi di fuggiaschi Paoliziani, che in allora si credettero lecito il conciliare l’uso delle armi coi precetti dell’Evangelo. Disastrata l’Asia per ben trent’anni dai flagelli delle guerre esterna ed interna, i discepoli di S. Paolo, si unirono nelle loro correrie a quelli di Maometto; onde tanti pacifici Cristiani, tanti vecchi padri che insieme alle giovinette loro figlie a crudele cattività tratti si videro, dovettero darne fatale merito alla intolleranza de’ lor sovrani. Cresciuti a dismisura e i mali, e la vergogna de’ Cristiani greci, il figlio di Teodora, il dissoluto Michele si trovò alla necessità di marciare in persona contra i Paoliziani, e sconfitto sotto le mura di Samosato, accadde il vedere l’Imperator de’ Romani fuggitivo dinanzi a quegli eretici che la madre di esso al fuoco avea condannati. Comunque i Saracini combattessero coi Paoliziani, l’onore della vittoria fu aggiudicato a Carbeas, nelle cui mani caddero parecchi generali nemici, e più di cento tribuni; parte de’ quali fece liberi per avarizia, e un’altra parte, secondando il

  1. Otter (Voyages en Turquie et en Perse t. II) giusta ogni apparenza fu il solo tra i Franchi, innoltratosi fin nel territorio de’ Barbari independenti, e in Tefrica, oggidì Divrigni: ed ebbe la ventura di fuggire dalle lor mani accompagnandosi ad un ufiziale turco.