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dell'impero romano cap. lvii 247

e perfino i servigi, a colpa vennergli ascritti. Le cabale d’un suo rivale unite a quello di una femmina lo perdettero; e ne accelerò la caduta l’imprudenza che egli ebbe di asserire che dal suo turbante e dal suo calamaio, emblemi del visirato, dipendeano, per li decreti di Dio, il trono e il diadema del Sultano. Questo rispettabile ministro si vide all’età di novantatre anni scacciato dal suo padrone, accusato da’ suoi nemici, e morto sotto il pugnal d’un fanatico: le estreme parole di lui ne attestarono l’innocenza; e spirato Nisam, Malek non visse che pochi giorni privi di gloria. Abbandonata Ispahan che stata era il teatro di questa scena d’iniquità, si trasferì a Bagdad col disegno di rimovere dal trono il Califfo, e porre stabile dimora nella capitale de’ Musulmani. Quel debole successore di Maometto ottenne una dilazione di dieci giorni. Ma questa non era per anco spirata, quando Malek fu chiamato dall’Angelo della morte. In quel tempo avendo gli ambasciatori dello stesso Malek chiesta per esso la mano di una principessa romana, l’Imperator greco con decenti modi se ne schivò. Anna figlia di Alessio, sopra la quale cadeano i divisamenti di nozze del Principe turco, rammenta con orrore una sì mostruosa proposta1. Il Califfo Moctadi sposò la figlia del Sultano, ma coll’inviolabile patto di rinunciar per sempre alla vicinanza dell’al-

  1. Anna Comnena parla di questo regno de’ Persiani come απασης κακοδαιμονεσερον πενιας, la maggiore di tutte le calamità. Ella toccava i nove anni sul finire del regno di Malek-Sà (A. D. 1092); e quando narra che questo monarca fu assassinato, confonde il Sultano col suo Visir. (Alexias, l. VI, p. 177, 178).