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dell'impero romano cap. lvii 243

difficile il rinvenire alcuna cosa tanto sublime, che il sentimento espresso ne’ seguenti detti del Principe turco, in purezza e magnanimità, pareggiasse. Nel giorno che precedea la battaglia, ei stava a Tua, orando a piè del sepolcro d’un Imano, chiamato Riza; e poichè Nisam, visir del Sultano, parimente orando, stava prostrato dietro di lui, allorquando entrambi si furono rialzati, gli chiese: „Qual era lo scopo della vostra preghiera?„ Il Visir, prudentemente, e, giusta ogni apparenza, con sincerità, gli rispose: „Io supplicava Iddio pel trionfo dell’armi vostre.„ Ed io, soggiunse il generoso Malek, lo supplicava perchè mi togliesse la corona e la vita, se mio fratello più di me era degno di regnare su i Musulmani.„ — Il cielo giudicò in favor di Malek, e questo decreto del cielo fu autenticato dal Califfo, il quale conferì per la prima volta ad un Barbaro il sacro titolo di Comandante de’ Credenti; ma questo Barbaro e per merito proprio, e per vastità d’impero, era il maggior principe del suo secolo. Regolate appena le cose pubbliche della Persia e della Siria, a capo di un innumerabile esercito si condusse a compiere la conquista del Turkestan che il padre suo aveva intrapresa. Al passaggio dell’Osso, udì le querele di alcuni navicellai, ai quali incresceva, che i loro stipendj fossero stati assegnati sulle rendite di Antiochia; la qual provvisione parve fuor di luogo allo stesso Sultano, che ne manifestò scontento al Visir. Ma dovette sorridere egli stesso sull’ingegnosa scusa, che il cortigiano seppe con maestra adulazione architettare. „Non vi avvisaste, o signore, che per differire la paga a questi giornalieri, io l’avessi assegnata su d’un paese tanto remoto; ma piaceami attestare alla posterità che sotto il vostro