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dell'impero romano cap. lvii |
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ammesso nell’esercito, a sola condizione di operare atti di straordinaria valore. Romano spogliato dell’armi sue, delle sue gemme, e della porpora, passò sul campo di battaglia la notte, solo, esposto a gravissimi rischi, in mezzo alla ciurma degl’infimi soldati; allo schiarire del giorno venne condotto innanzi al Sultano, che alla propria buona sorte non volle credere, sintanto che i suoi ambasciatori non ebbero ravvisato Romano nel prigioniero; e convenne ancora che la testimonianza loro fosse confermata dal cordoglio di Basilacio che baciò, versando dirotte lagrime, le piante al suo sfortunato monarca. Il successore di Costantino, vestito come un uomo del volgo, fu trasportato al divano, ove intimato vennegli di baciar la terra al cospetto del dominatore dell’Asia. Avendo egli obbedito con repugnanza, dicesi che il Sultano si lanciò dal trono, presto a porre un piede sul collo al vinto imperatore1; ma dubbioso è il fatto, e quand’anche fosse vero che nell’ebbrezza della vittoria Alp-Arslan si fosse uniformato ad una costumanza della sua nazione, la condotta ch’egli tenne da poi, costrinse i più fanatici tra i Greci ad encomiarlo, e può additarsi qual modello ai secoli più ingentiliti. Sollevò immantinente da terra il principe prigioniero, e stringendogli per tre volte, in atto di tenerezza, la mano, gli promise di non operare veruna cosa nè contro i giorni, nè contro la dignità del medesimo; aggiugnendo che egli, Arslan, avea imparato a ri-
- ↑ Niceforo e Zonara operano saggiamente nel tacer questo fatto, raccontato da Scilitzes e da Manasse, ma che non pare troppo credibile.