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66 storia della decadenza

dirigesse lagnanze; che una spalla di agnello lo avvisasse ch’era avvelenata, e che la natura vivente del pari che la morta fossero sottomesse all’appostolo di Dio1. Fu descritto seriamente il suo sogno d’un viaggio che fece di notte, come se il fatto fosse vero e materiale. Un animal misterioso, il borak, lo trasportò dal Tempio della Mecca a quello di Gerusalemme, corse un dopo l’altro i sette cieli in compagnia dell’angelo Gabriele; nelle rispettive dimore dei Patriarchi, de’ Profeti, degli Angeli ne ricevette, e restituì loro, la visita. Ebbe egli solo licenza di oltrepassare il settimo cielo; aperse il velame dell’unità; giunse a due tiri di dardo presso il trono di Dio, e tocco nella spalla dalla man dell’Altissimo, ne sentì tal freddo che gli passò il cuore. Dopo questa familiare e considerevole conversazione, calò di nuovo a Gerusalemme, risalì sul borak, tornò alla Mecca, e spese soltanto la decima parte d’una notte a compiere un viaggio di molte migliaia d’anni2.

  1. V. lo Specimen Hist. Arabum, il testo d’Abulfaragio (p. 17), le note di Pocock (p. 187-190), d’Herbelot (Bibl. orient., p. 76, 77 ), i viaggi del Chardin (t. IV, p. 200-203). Il Maracci (Alcoran, t. I, p. 22-64) s’è affaticato a raccogliere o a confutare i miracoli, e le profezie di Maometto, che, secondo vari scrittori, ascendono a tremila.
  2. Abulfeda (in vit. Mohammed, c. 19, p. 33) narra assai minutamente questo viaggio notturno, ch’ei tratta da visione. Prideaux, che pure ne parla (p. 31-40), aggrava gli assurdi; e Gagnier (t. I, p. 252-343) dichiara, seguendo lo zelante Al-Jannabi, che negare quel viaggio è lo stesso che non credere al Corano. Il Corano peraltro non nomina in quel proposito nè il cielo, nè Gerusalemme, nè la Mecca; non lascia sfuggire che queste mistiche parole; Laus illi qui transtulit servum suum ab oratorio Haram ad oratorium re-