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vola de’ suoi decreti eterni; l’angelo Gabriele, che nella religione Giudaica aveva ricevuto le più rilevanti missioni, gli recò, in un volume fregiato di seta e di gemme, una copia in carta di quell’Opera immortale, e il fedel messaggero gliene rivelò successivamente i capitoli ed i versetti. In vece di spiegare a un tratto il perfetto e immutabile esemplare del volere di Dio, ne pubblicò Maometto, come glien veniva talento, vari frammenti. Ciascheduna rivelazione è adattata a’ bisogni diversi delle sue passioni, o della sua politica, e per sottrarsi al rimprovero di contraddizione pose per massima, che ogni testo era abrogato o modificato da qualche passo susseguente. I discepoli di Maometto scrissero accuratamente sopra foglie di palma, o su omoplati di agnello, le parole di Dio e quelle dell’appostolo, e queste diverse pagine forono gittate senz’ordine e senza connessione in un forziere che il Profeta diede in custodia ad una delle sue mogli. Due anni dopo la sua morte, Abubeker, amico e successore di lui, compilò ordinatamente e diede alla luce il sacro libro: il quale fu riveduto dal califfo Othmano nell’anno trentesimo dell’Egira, e le varie edizioni del Corano partecipano tutte al miracoloso privilegio di presentare un testo uniforme e incorruttibile. Sia fanatismo, sia vanità, dai pregi del suo libro ricava la prova della verità della sua missione: disfida arditamente uomini ed angeli ad imitare la bellezza d’una delle sue pagine, ed osa affermare1 che Dio solo poteva dettare quello

  1. L’Alcorano contiene una farragine di moltissime cose, alcune delle quali sono oscure, altre paraboliche, ed enigmatiche; alcune altre si contraddicono. È vero, che i Mao-