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dell'impero romano cap. l 61

fatta dall’Evangelo, fu adempiuta nel nome e nella persona di Maometto1, il più grande e l’ultimo degli appostoli di Dio.

A comunicare le idee è necessaria la corrispondenza del linguaggio co’ pensieri: nulla otterrebbe il discorso d’un filosofo nell’orecchio d’un paesano; ma quale differenza impercettibile è mai quella che si rinviene nelle loro intelligenze paragonate insieme, e quella che si scopre nel contatto d’una intelligenza finita con una infinita, la parola di Dio espressa dalla parola o dallo scritto d’un mortale! Può l’ispirazione de’ profeti ebrei, degli appostoli, degli evangelisti di Gesù Cristo, non essere incompatibile coll’esercizio della loro ragione e memoria, e lo stile e la composizione de’ libri nell’antico e nuovo Testamento dimostrano assai la diversità del loro ingegno. Si contentò Maometto alla figura più modesta, ma più sublime, di semplice editore; secondo lui e i suoi discepoli, la sostanza del Corano2 è increata ed eterna; esiste nella essenza della divinità ed è stata inscritta con una penna di luce su la ta-

    lo Spirito Santo, che da lui era stato loro promesso, siccome leggiamo nel secondo capo del Libro degli atti degli appostoli; è inutile poi rispondere alle vane pretensioni di Maometto. (Nota di N. N.)

  1. Tra le profezie dell’antico e del nuovo Testamento, pervertite di senso per la frode o l’ignoranza de’ Musulmani, venne applicata al loro Profeta la promessa del Paracleto, o del Consolatore, che i Montanisti ed i Manichei s’erano già appropiata (Beausobre, Hist. crit. du Manich. t. I, p. 263 etc.); e cambiando la parola περικλυτος in παρακλητος, ciò ch’è facile, fanno risultare l’etimologia del nome di Maometto (Maracci, t. I, part. I, p. 15-28).
  2. V. sul Corano, d’Herbelot, p. 85-88; Maracci t. I. in vit. Mohammed, p. 32-45; Sale, Discours prélim., p. 56-70.