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dell'impero romano cap. l |
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cooperatori secreti nel comporre il Corano1. Il conversare arricchisce d’idee l’intelletto, ma la solitudine è la scuola del grand’uomo, e l’uniformità di un’opera annuncia la mano d’un autor solo. Si era dato Maometto interamente alla contemplazione religiosa; ogni anno si allontanava dalla gente non che dalle braccia di Cadijah nel mese di Ramadan; si ritraeva nel fondo della spelonca di Hera, distante tre miglia della Mecca2: quivi consultava lo spirito di frode o quello del fanatismo, il soggiorno del quale non è già in cielo, ma nella mente del profeta. Non vi ha che un Dio, e Maometto è l’appostolo di Dio: tale è la fede, che sotto nome d’Islam, predicò egli alla sua famiglia e alla sua nazione, e che così comprende una verità eterna, ed una favola evidente.
È lecito agli Apologisti della religione giudaica l’insuperbirsi perchè, in tempo che le favole del politeismo illudevano le nazioni dotte dell’antichità,
- ↑ Mi manca il tempo d’esaminare le favole e le congetture poste in mezzo sul nome di que’ forestieri accusati, o presunti dagl’Infedeli della Mecca. (Corano, c. 16, p. 223; c. 35, p. 297, colle note del Sale; Prideaux, Vie de Mahomet, p. 22-27; Gagnier, Not. ad Abulfeda, p. 11-74; Maracci, t. II, p. 400). Il Prideaux medesimo ha osservato che queste intelligenze saranno state secrete, e che la scena succedette nel cuor dell’Arabia.
- ↑ Abulfeda (in vit., c. 7, p. 15; Gagnier, t. I, p. 133-135.) Abulfeda (Geogr. arab., p. 4) indica il sito del monte Hera. Eppure Maometto non aveva mai udito parlare della grotta della ninfa Egeria, ubi nocturnae Numa constituebat amicae; non del monte Ida, ove Minosse conversava con Giove, ec.