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riore dispregiato soltanto da quelli che nol possedono. Prima di favellare, sia in pubblico sia in privato, si conciliava già il favore degli astanti. Applaudivasi al suo contegno che annunciava un uomo autorevole, alla sua aria maestosa, al suo sguardo penetrante, al suo sorriso piacevole, alla lunga barba, alla fisonomia in cui si leggevano i sentimenti dell’anima, al gesto che cresceva forza alle sue parole. Nella familiarità della vita privata non si dipartiva mai dalla civiltà grave e cerimoniosa del suo paese; i suoi riguardi verso i ricchi e i potenti erano nobilitati dalla condiscendenza e affabilità con cui trattava i cittadini più poveri della Mecca. La franchezza delle sue maniere velava l’astuzia delle sue mire, e l’urbanità prendeva in lui le sembianze d’affetto per la persona a cui parlava, o quelle d’una benevolenza generale. Vasta era e sicura la sua memoria, agevole l’ingegno e adatto alla società, sublime l’immaginazione, e il giudizio chiaro, pronto, decisivo. Aveva coraggio nel pensare come nell’operare, e benchè sia da credersi che i suoi disegni si allargarono gradatamente a seconda del buon esito, la prima idea che concepì della sua missione profetica porta l’impronto d’un ingegno straordinario. Educato in grembo alla famiglia più nobile del paese, avevane preso l’abito di parlare il più puro dialetto degli Arabi; e sapea contenere la facilità e l’abbondanza del discorso, e accrescerne il pregio con un silenzio usato a luogo e tempo. Con tutti questi doni dell’eloquenza, non era in fin fine Maometto che un Barbaro ignorante: non se gli era insegnato quand’era giovane, a leggere, nè a scrivere1; la universale ignoranza lo assolvea da

  1. Que’ che credono che Maometto sapesse leggere e scri-