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dell'impero romano cap. liii. | 487 |
per esemplari. Non v’ha dubbio, che l’impero dei Cesari non abbia arrestata l’attività e gli avanzamenti dello spirito umano. La sua vastità lasciava in vero qualche libertà all’emulazione reciproca dei cittadini: ma quando fu gradatamente ridotto da prima all’oriente, indi alla Grecia ed a Costantinopoli, non si vide più nei sudditi dell’impero Bisantino che un’indole abbietta e fievole, effetto naturale della loro situazione isolata. Erano oppressi a settentrione da tribù di Barbari, di cui ignoravano il nome, e che appena riputavano uomini. La lingua e la religione degli Arabi, nazione più incivilita, frapponeano ad ogni comunicazione sociale con essi un argine insuperabile. Professavano i vincitori dell’Europa come i Greci la religion cristiana; ma sconosciuto era a questi l’idioma dei Franchi o dei Latini; rozzi ne erano i costumi, e non ebbero co’ successori d’Eraclio alcun vincolo d’alleanza o affari di inimicizia. Unico nella sua specie, l’orgoglio greco, sempre contento di sè medesimo, non si turbava giammai pel confronto con un merito straniero, e non vedendo rivali che potessero spronarlo nella sua carriera, nè giudici per coronarlo alla meta, non è da maravigliare se abbia dovuto soccombere. Le Crociate vennero mischiando le nazioni dell’Europa e della Asia; e solamente sotto la dinastia dei Comneni tornò l’impero di Bisanzio a gareggiare, benchè debolmente, in cognizioni e in virtù militari.
fine del decimo volume.