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dell'impero romano cap. liii. 475

il ferro de’ Lombardi gli impedì di fermare il piede in Italia; entrò in Roma, non come un vincitore, ma in figura di fuggiasco; e dopo aver passato colà dodici giorni, mise a sacco l’antica capitale del Mondo, e poi ne partì per sempre1. Succedette l’intera separazione dell’Italia, e dell’impero di Bisanzio circa due secoli dopo le conquiste di Giustiniano; e appunto sotto il suo regno cominciò ad andare in disuso la lingua latina. Avea questo legislatore pubblicato le sue Instituta, il suo Codice, e le Pandette, in un linguaggio che egli vanta come lo stile pubblico del governo romano, l’idioma della Corte e del senato di Costantinopoli, degli eserciti, e de’ tribunali dell’oriente2. Ma non si intendea nè dal popolo, nè dai soldati dalle province asiatiche questa lingua straniera; e la maggior parte degli interpreti delle leggi, e dei ministri di Stato non la sapeano che malamente. Dopo una lotta che durò poco, la natura e l’abitudine trionfarono delle istituzioni della potenza umana; Giustiniano, a pro dei

    Ed è confermato da Teofane, Zonara, Cedreno, e dall’Historia Miscella: voluit in urbem Romani imperium transferre (l. XIX, p. 157), in t. I, part. I, degli Script. rerum ital. del Muratori.

  1. Paolo Diacono, l. V, c. II, p. 480; Anastasio, in vitis Pontificum, nella raccolta del Muratori, t. III, part. I, pag. 141.
  2. Si consultino la prefazione del Ducange (ad Gloss. graec. medii aevi) e le Novelle di Giustiniano (VII, LXVI). Dicea l’imperatore che la lingua greca era κοινος, comune, la latina πατριος, nativa, per lui, e finalmente che ella era κυριωτατος, imperialissima pel πολιτειας σχημα, sistema del governo.