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universale: le Sette da essi perseguitate si ritrassero di mano in mano al di là de’ confini dell’Impero romano: da’ Marcioniti, e da’ Manichei furono disseminate le loro opinioni fantastiche e i loro evangeli apocrifi: i Vescovi giacobiti e nestoriani1 introdussero nelle Chiese dell’Yemen, e fra i principi di Hira e di Gassan massime più ortodosse. Aveano le tribù la libertà di scegliere, ogni Arabo era padrone di farsi una religione particolare, e talvolta alla superstizione grossolana della sua casa accoppiava la sublime teologia de’ santi e de’ filosofi. Alla concordia generale de’ popoli istruiti andavano debitori del domma fondamentale della esistenza d’un Dio supremo che sovrasta a tutte le potenze della terra e del cielo, ma che sovente s’è rivelato agli uomini col ministero de’ suoi angeli e de’ suoi profeti, e che pel favore o per la giustizia sua ha interrotto con miracoli l’ordine consueto della Natura. I più ragionevoli tra gli Arabi ne riconoscevano il potere quantunque trascurassero d’adorarlo2. Per abitudine piuttosto che per convincimento aderivano a’ resti dell’idolatria. I Giudei e i Cristiani erano il popolo del libro santo: la Bibbia era già tradotta in lingua Ara-

    che hanno potuto la loro credenza, ma non già d’avere l’Impero temporale. (Nota di N. N.)

  1. Pocock, aderendo a Sharestani, ec. (Specimen, p. 60-134, ec.), Hottinger (Hist. orient., p. 212-238), d’Herbelot, (Bibl. orient., p. 474-476), Basnagio (Hist. des Juifs, t. VII, pag. 185, t. VIII, pag. 280) e Sale (Disc. prélim., p. 22, ec. 33, ec.) descrivono la situazione de’ Giudei e dei Cristiani nell’Arabia.
  2. Nelle obblazioni avean per massima d’ingannar Dio a pro dell’idolo, ch’era meno possente, ma più irritabile (Pocock, Specimen, p. 108-109).