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dell'impero romano cap. liii. 439


Era questo un gran berretto piramidale, di stoffa di lana o di seta, quasi coperto da un ammasso di perle e di diamanti; un circolo orizzontale, e due archi d’oro formavano la corona; vedeasi in cima nel punto d’intersezione un globo o una croce, e cadeano sulle guance due cordoni o pendenti di perle. I coturni del Sebastocratore e del Cesare erano verdi, e le corone aperte, e non tanto cariche di pietre preziose. Creò Alessio le dignità di Panhypersebasto e di Protosebasto inferiori a quella del Cesare, e questi titoli, pel suono e pel senso, poteano essere gradevoli a una orecchia greca. Accennano essi una superiorità e un primato sul semplice titolo d’Augusto, titolo sacro e primitivo d’un principe romano, che allora, spoglio dell’antica dignità, toccò agli alleati e agli ufficiali della corte Bisantina. La figlia d’Alessio non sa contenersi per la compiacenza di questa bella gradazione di speranze e d’onori: ma come gli ingegni più meschini possono acquistar la scienza della parola, non durò gran fatica l’orgoglio dei successori d’Alessio ad arricchire questo dizionario di vanagloria; diedero essi ai figli o ai fratelli prediletti il nome più sublime di padrone o di despota, al quale fu conceduta una nuova pompa e nuove prerogative, e fu registrato immediatamente dopo la dignità d’imperatore. Questi non dava in generale se non ai principi del sangue i cinque titoli, I di despota, II di

    (V. Reiske, ad Ceremoniale p. 14, 15). Il Ducange ha pubblicato una dotta dissertazione sulle corone di Costantinopoli, di Roma, e di Francia ec. (sopra Joinville, XXV, p. 289-303): ma nessuno dei trentaquattro modelli che egli ne dà s’accorda esattamente colla descrizione d’Anna Comnena.