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dell'impero romano cap. liii. 427


Ma la ricchezza della provincia, la fonte più certa delle rendite pubbliche, derivava dalle preziose e abbondanti produzioni del traffico, e delle manifatture. Si scorgono alcuni sintomi d’una sana politica in una legge che libera da ogni imposizione personale i marinai del Peloponneso, e gli operai che lavoravano la pergamena e la porpora. Pare che sotto questo titolo si comprendessero gli opificii di tela, di lana, e precipuamente di seta: fiorivano nella Grecia i primi fin dal tempo d’Omero, e gli ultimi forse erano attivi sin dal regno di Giustiniano. Queste arti esercitate in Corinto, in Tebe e in Argo occupavano e mantenevano gran numero di persone: v’erano impiegati, secondo l’età e la forza rispettiva, uomini, donne, fanciulli, e se molti degli operai erano schiavi, erano poi di condizion libera e onorata i loro padroni, che dirigevano i lavori e ne raccoglieano il guadagno. I donativi che offerse all’imperator Basilio suo figlio adottivo, che egli avea ricevuti da una ricca matrona del Peloponneso, erano stati senza dubbio fatti nei telai della Grecia. Quella donna, che si nomava Danieli, gli mandò un tappeto di bellissima lana che rappresentava gli occhi d’una coda di pavone, e che era tanto grande da coprire il pavimento d’una chiesa nuova eretta in onore di Gesù Cristo, dell’arcangelo S. Michele, e del profeta Elia; di più gli diede seicento pezze di seta e di tela di varie qualità, e acconce a diversi usi. Le stoffe di seta tinte dei colori di Tiro erano ricamate coll’ago, e tanta era la finezza delle tele che una pezza intiera poteva stare nella cavità di una canna1. Uno storico di Sicilia, che descrive

  1. V. Costantino (in vit. Basil., c. 74, 75, 76, p. 195-