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dell'impero romano cap. lii. | 379 |
i lor disegni di conquista e di ingrandimento si ristrinsero ad alcune scorribande di corsari1.
[A. D. 846] Fra le umiliazioni e i patimenti che desolavano allora l’Italia, il nome di Roma risveglia negli animi un’augusta e insiem dolorosa memoria. Parecchi navili Saracini della costa d’Affrica ebbero il coraggio di salire il Tevere ed accostarsi ad una città, che, sebben digradata, era ancora riverita come metropoli del Mondo cristiano. Un popolo tremante ne custodiva le porte e le mura; ma le tombe e le chiese di S. Pietro e Paolo, situate nei sobborghi del Vaticano e sulla strada d’Ostia, rimanevano abbandonate al furor de’ Musulmani. La santità di questi luoghi aveali protetti contro l’ingordigia dei Goti, dei Vandali, dei Barbari e dei Lombardi; ma gli Arabi aveano a sdegno l’Evangelo e la Leggenda, e dai precetti del Corano era approvata ed anzi stimolata la loro rapacità. Tolsero alle statue del cristianesimo le offerte onde erano arricchite; levarono dalla chiesa di S. Pietro un altar d’argento, e se lasciarono interi gli edificii ed i corpi dei Santi quivi sepolti, deesi attribuire questo riguardo alla fretta piuttosto che ai loro scrupoli. Nelle scorrerie che fecero sulla via Appia, saccheggiarono Fondi, e assediarono Gaeta, ma si allontanarono dalle mura di Roma, e la discordia loro salvò il Campidoglio dal giogo del Profeta della Mecca. Ma eran sempre minacciati i Ro-
- ↑ Si trovano parecchi estratti d’autori Arabi sulla conquista della Sicilia in Abulfeda (Annal. moslem., p. 271-273), e nel primo volume degli Script. rerum italic. del Muratori. Il signor de Guignes (Hist. des Huns, t. I, p. 363, 364) aggiunge alcuni fatti rilevanti.