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ganza, e che può considerarsi come l’epitaffio del suo paese1. Dal tempo che fu soggiogata la Sicilia dai Romani, sino a quello in cui fu conquistata dai Saracini, Siracusa, ora ristretta all’isola d’Ortigia che formò il suo primo recinto, avea a poco a poco perduto l’antico splendore. Nondimeno conteneva ancora grandi ricchezze; i vasi d’argento trovati nella cattedrale pesavano cinquemila libbre; il bottino fu valutato un milione di pezze d’oro, vale a dire circa quattrocentomila lire sterline, e il numero de’ prigionieri dovette essere più considerevole che in Tauromenio, d’onde furono trasportati diciassettemila cristiani in Affrica per vivere colà nella schiavitù. Dai vincitori fu annichilita in Sicilia la religione e la lingua dei Greci, e tanta fu la docilità della nuova generazione, che furono circoncisi quindicimila giovanetti in un sol giorno col figlio del Califfo Fatimita. Salparono dai porti di Palermo, di Biserta e di Tunisi le forze marittime degli Arabi, e assalirono e posero a ruba centocinquanta città della Calabria e della Campania, nè il nome dei Cesari o degli appostoli valse a difendere i sobborghi di Roma. Se fossero stati concordi i Musulmani, avrebbero di leggieri avuta la gloria di sottomettere l’Italia all’impero del Profeta; ma i Califfi di Bagdad aveano perduta in occidente l’autorità, gli Aglabiti e i Fatimiti usurpato le province dell’Affrica, mentre in Sicilia i loro Emiri anelavano alla independenza e

  1. Il Pagi ha riferito e rischiarato il racconto o le lamentazioni di Teodosio (Critica, t. III, p. 619 ec.). Costantino Porfirogenito (in vit. Basil., c. 69, 70, pag. 190-192) fa menzione della perdita di Siracusa e del trionfo dei demonii.