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dell'impero romano cap. lii. |
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gnò per altro anche una volta la sommessione, e il Califfo si mostrò parimenti preparato alla vittoria. Aveva Haroun cento trentacinquemila soldati di milizia regolare e più di trecentomila uomini d’ogni genere entrarono in campagna sotto il vessillo nero degli Abbassidi. Questo esercito sgombrò l’Asia Minore sino al di là di Tiane ed Ancyra, ed investì Eraclea del Ponto1, già capitale d’un paese florido, ed oggi miserabile borgo, il quale, al tempo di cui parliamo, sostenne colle sue vecchie mura l’assedio di un mese contra tutte le forze dell’oriente. Haroun la rovinò da cima a fondo, e i suoi guerrieri vi trovarono grandi ricchezze; ma se avesse conosciuta la storia della Grecia, avrebbe deplorata la perdita di una statua d’Ercole, che avea tutti gli attributi del Semidio, cioè la clava, l’arco, il turcasso, e la pelle di lione in oro massiccio. Per li progressi dei guasti in mare e in terra, dall’Eusino all’isola di Cipro, fu determinato Niceforo a ritrattare la sua superba disfida. Consentì Haroun alla pace: ma volle che rimanessero le rovine d’Eraclea per una lezione ai Greci, e per un trofeo alla sua gloria, e che la moneta del tributo portasse l’effigie e il nome di Haroun e de’ suoi tre figli. Ma questa pluralità di sovrani fu quella che diede ai Romani agio per sottrarsi al proprio disonore2. Dopo la morte del pa-
- ↑ Il signor di Tournefort nel suo dispendioso viaggio da Costantinopoli a Trebisonda, passò una notte in Eraclea, ossia Eregri. Esaminò la città nel suo stato d’allora, e ne raccolse le anticaglie. (Voyage du Levant, tom. III, lettera 16, p. 23-35). Abbiamo una storia particolare d’Eraclea nei frammenti di Mennone, conservati da Fozio.
- ↑ Teofane (p. 384, 385, 391, 396, 407, 408), Zonara