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mi„. Nel pronunciar queste parole gli ambasciatori gettarono a piè del trono un fascio di spade. Sorrise a quella minaccia il Califfo, e cavando la sua tremenda sansamah, quella scimitarra sì famosa negli annali della storia e della favola, troncò le deboli armi dei Greci senza smuzzare il taglio della sua. Dettò poscia questa lettera terribilmente laconica: „In nome del Dio misericordioso, Haroun-al-Rashid comandante dei fedeli, a Niceforo, cane Romano. Figlio d’una madre infedele, ho letto la tua lettera. Tu non avrai la mia risposta, ma la vedrai„. La scrisse in caratteri di sangue e di fuoco nelle pianure della Frigia; e per arrestare la celerità guerriera degli Arabi, dovettero i Greci ricorrere alla dissimulazione e all’apparenza di pentimento. Dopo le fatiche della campagna si ritrasse il Califfo vittorioso a Racca sull’Eufrate1, che era il palagio da lui prediletto. Ma i suoi nemici, vedendolo lontano cinquecento miglia, rincorati inoltre dal rigor della stagione, si avventurarono a violare la pace. Ebbero però a rimanere storditi dell’ardimento e dalla rapidità del Califfo, che nel cuor del verno ripassò le nevi del monte Tauro; avea già Niceforo esausti tutti gli stratagemmi di negoziazione e di guerra, e questo perfido Greco non uscì che con tre ferite da una battaglia che costò la vita a quarantamila sudditi. Sde-

  1. Quanto alla situazione di Racca, l’antico Niceforio, veggasi d’Anville (l’Euphrate et le Tigre, pag. 24-27). Nelle Notti Arabe si parla di Haroun-al-Rashid come se non uscisse mai di Bagdad. Egli rispettava la sede reale degli Abbassidi: ma i vizi degli abitanti l’aveano cacciato da quella città (Abulfeda, Annal. p. 167).