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dell'impero romano cap. lii. | 367 |
trina di essa, e col praticare le arti e le manifatture s’erano imparati molti utili segreti; ma la scienza è debitrice della sua origine e del suo incremento alla fatica dei Saracini. I quali furono i primi ad usure il lambicco per distillare, e a noi ne tramandarono il nome; analizzarono le sostanze dei tre regni; osservarono le differenze e le affinità degli alcali e degli acidi, e dai minerali più pericolosi seppero ricavare medicamenti dolci e salubri. Ma la trasmutazione dei metalli e l’elixir d’immortalità furono le principali occupazioni della chimica araba. Migliaia di dotti videro sparire la lor fortuna, e la ragione e il senno nei crogiuoli dell’alchimia; si congiunsero insieme il mistero, la favola e la superstizione, degni socii per lavorare alla grand’opra della pietra filosofale.
Intanto i Musulmani aveano trascurato i maggiori beneficii che fornisce la lettura degli autori della Grecia e di Roma: cioè la cognizion dell’antichità, del buon gusto e della libertà di pensare. Alteri, baldanzosi delle ricchezze della propria lingua, sdegnavano gli Arabi lo studio d’un idioma straniero. Fra i cristiani dei loro dominii sceglievano gl’interpreti greci, e questi faceano le traduzioni talora sul testo originale, e forse più sovente sopra una versione siriaca; e pare che i Saracini, dopo aver pubblicato nella propria lingua tante Opere d’astronomia, di fisica e di medicina, non abbiano tradotto un poeta, un oratore, e nemmeno uno storico1.
- ↑ Abulfaragio (Dynast., p. 26-148) cita una version siriaca dei due poemi d’Omero, fatta da Teofilo, Maronita cristiano del monte Libano, il quale professava l’astronomia in