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cessi di ciascun di que’ medici essere frutto della forza propizia di molte cagioni personali ed accidentali; ma si può formare un concetto più positivo di quanto sapevano in generale su l’anatomia1 la botanica2 e la chimica3, che sono le tre basi della lor teorica e della loro pratica. Per un rispetto superstizioso dei morti, non si permetteva ai Greci e agli Arabi che la sezione delle scimie e d’altri quadrupedi. Le parti più solide e più visibili del corpo umano erano note ai tempi di Galeno; ma al microscopio ed alle iniezioni dei moderni era serbato il conoscerne meglio la costruzione. La botanica esige indagini faticose, e poterono le scoperte della Zona torrida arricchire di duemila piante l’erbario di Dioscoride. Quanto alla chimica, forse i templi e i monasteri dell’Egitto conservavano per tradizione qualche dot-

  1. V. una bella descrizione dei progressi dell’anatomia, in Wotton, (Reflections on ancient and modern learning, p. 208-256). I begli ingegni hanno indegnamente assalita la sua riputazione nella controversia del Boyle e del Bentley.
  2. Bibliot. arab.-hispan. t. I, p. 275. Al-Beithar di Malaga, il più grande dei lor botanici, avea viaggiato in Affrica, nella Persi e nell’India.
  3. Il dottor Watson (Elements of chemistry, v. I, p. 17 ec.) consente che i progressi degli Arabi nella chimica erano veramente opera loro: egli cita non ostante la modesta confessione del celebre Geber, scrittore del nono secolo (d’Herbelot p. 387), il quale diceva d’aver ricavato dagli antichi Saggi la maggior parte delle sue cognizioni, forse sulla trasmutazione de’ metalli. Qual che fosse l’origine o la vastità del loro sapere, sembra che le arti della chimica e dell’alchimia fossero diffuse nell’Egitto tre secoli almeno prima di Maometto (Wotton’s Reflections, p. 121-133; Paw, Recherches sur les Egyptiens et sur les Chinois, t. I, p. 376-429).