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lettati dalla speranza del bottino o del paradiso giungevano in folla sotto lo stendardo d’Abubeker e di Omar.

[A. D. 754 ec.- 813 ec.] Quando gli Ommiadi regnavano, erano ristretti gli studii dei Musulmani ad interpretare il Corano, e a coltivar l’eloquenza e la poesia nella propria lingua. Un popolo esposto sempre ai rischi della guerra, debbe apprezzare l’arte della medicina o piuttosto della chirurgia; ma i medici Arabi si dolean sotto voce che l’esercizio e la temperanza riducessero a poco il numero dei malati1. I sudditi degli Abbassidi, dopo le guerre civili e le domestiche, esciano del letargo in cui s’erano assopiti gli ingegni. Impiegarono l’ozio, che aveano acquistato, a soddisfar la curiosità che lo studio delle scienze profane veniva ispirando negli animi loro. Questo studio da prima venne favorito dal Califfo Almansor, il quale, oltre il ben conoscere la legge musulmana, aveva imparato l’astronomia. Ma quando salì al trono Almamon, settimo degli Abbassidi, compiendo i disegni del suo avo invitò da ogni parte le Muse alla sua Corte. Dai suoi ambasciatori a Costantinopoli, dai suoi agenti nell’Armenia, nella Sorìa, nell’Egitto furono raunati gli scritti della Grecia, ed egli li fece tradurre in arabo da valenti interpreti, esortò i sudditi a leggerli assiduamente, e il successor di Maometto assistè con pia-

  1. Il Gulistan (pag. 239) narra la conversazione di Maometto e d’un medico (Epistol. Renaudot, in Fabricio, Bibl. graec., t. I, p. 814). Il Profeta esso stesso era versato nell’arte della medicina, e il Gagnier (Vie de Mahomet, t. III, p. 394-405) ha fatto un estratto degli aforismi che sussistono sotto il suo nome.