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dell'impero romano cap. lii. 355

e d’argento che spandea diciotto grossi rami, sui quali, non meno che sui più piccoli, si scorgevano uccelli d’ogni spezie fatti, del pari che le foglie dell’albero, dei medesimi metalli preziosi. Questo albero dondolava come gli alberi de’ nostri boschi, e allora si udiva il canto di vari uccelli. In mezzo a tutto questo apparato fu condotto l’ambasciator Greco dal visir a piedi del trono del Califfo1„. In occidente, gli Ommiadi di Spagna sosteneano con pari pompa il titolo di comandante dei fedeli. Il terzo e il più grande degli Abdalrahman eresse a tre miglia di distanza da Cordova la città, il palazzo e i giardini di Zebra in onore della sua sultana favorita. Vi spese venticinque anni di lavoro, e più di nove milioni sterlini; chiamò da Costantinopoli i più bravi scultori ed architetti del suo secolo; mille dugento colonne di marmo di Spagna e d’Affrica, di Grecia o d’Italia sorreggevano o abbellivano questi edificii. La sala d’udienza era incrostata d’oro e di perle, e figure d’uccelli e di quadrupedi d’infinito lavoro contornavano una gran vasca posta nel centro. In un alto padiglione, collocato in mezzo ai giardini, si vedeva uno di quei bacini o fontane che nei climi caldi sono sì deliziose, ma che invece d’acqua era pieno di argento vivo purissimo. Il serraglio di Abdalrahman, computandovi le mogli, le concubine e gli eunuchi neri, era composto di seimila e trecento persone, e

  1. Abulfeda, p. 237: d’Herbelot, p. 590. Quell’ambasciator Greco giunse a Bagdad A. D. 917. Nel passo d’Abulfeda mi son servito, con qualche cangiamento, della traduzione inglese del dotto ed amabile sig. Harris di Salisbury (Philological Enquiries, 364, 365).