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dell'impero romano cap. lii. 347

feta e del popolo a un tempo. Da un distaccamento di cavalleria furono precise le sue mosse: egli fu arrestato, e spirò l’infelice in una prigione di Harran, senza avere assaporato i piaceri del regno che gli era stato tanto promesso. Saffah ed Almansor, suoi fratelli cadetti, scamparono dalle mani del tiranno, tenendosi celati a Cufa sino a quel giorno che dallo zelo del popolo, e dall’arrivo dei lor partigiani dell’oriente, furono rincorati a mostrarsi al pubblico ansioso di vederli. Saffah, ornato dei fregi di Califfo e dei colori della sua Setta, seguitato da un corteggio religioso e militare, andò alla moschea, salì in pulpito, fece orazione, indi un discorso come successor legittimo di Maometto. Partito che fu, i suoi alleati ricevettero da un popolo affezionato il giuramento di fedeltà: ma non nella moschea di Cufa, ma sulle rive del Zab dovea terminarsi la gran contesa. Parea che la fazione dei Bianchi avesse tutti i vantaggi, l’autorità d’un governo ben assodato, un esercito di cento ventimila soldati contro un numero sei volte minore di nemici, la presenza e il merito del Califfo Merwan, quattordicesimo ed ultimo della casa d’Ommiyah. Prima di salire sul trono s’era acquistato, per le sue campagne in Georgia, l’onorevole soprannome di asino della Mesopotamia1, e

  1. Al-Hemar. Egli era stato governator della Mesopotamia, e in un proverbio arabo vien lodato il coraggio di quegli asini guerrieri, che mai non fuggono davanti al nemico. Questo soprannome di Merwan può giustificare la nota similitudine d’Omero (Iliade, A. 557, etc.), e il soprannome e la citazione Omerica devono impor silenzio ai moderni, che riguardan l’asino come una emblema di stupidità e di bassezza (d’Herbelot, Bibl. orient., p. 558).