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dell'impero romano cap. lii. |
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dolatria, e nella ribellione; aveva essa a malgrado suo abbracciato l’Islamismo; era irregolare e fazioso il suo innalzamento, e bagnato il suo trono dal sangue più sacro ed illustre dell’Arabia. Il pio Omar, che pur era il migliore dei principi di questa razza, non avea riconosciuto bastante il suo titolo, e nelle lor virtù personali non aveano tutti il modo di giustificarsi d’aver violato l’ordine della successione, e gli occhi, non che il cuor dei fedeli, erano volti verso la linea di Hashem, ed i parenti dell’appostolo di Dio. Fra quei discendenti del Profeta, i Fatimiti erano spensierati o pusillanimi, ma gli Abbassidi con ardimento e prudenza covavano speranze di gran fortuna. Dal fondo della Sorìa, ove traevano una vita oscura, fecero partire segretamente agenti e missionari, che nelle province d’oriente andavano predicando il diritto ereditario ed irrevocabile che loro competeva; Mohammed, figlio d’Alì, figlio d’Abdallah, figlio d’Abbas, zio del Profeta, diede udienza ai deputati del Korasan, e ne accettò un regalo di quarantamila pezze d’oro. Morto Mohammed, le truppe numerose di fedeli, che non aspettavano altro che un Capo e un segnale di ribellione, prestarono giuramento al suo figlio Ibrahim; il governator del Korasan continuò a deplorare le inutilità de’ suoi avvertimenti, e il funesto sonno dei Califfi di Damasco, sino al giorno in cui con tutti i suoi aderenti fu cacciato dalla città e dal palazzo di Meru da Abu-Moslem generale dei ribelli1. Questo creatore di re che chiamò,
- ↑ I cavalli e le selle che avean portato le sue mogli furono uccisi ed arsi, per timore che non fossero montati poi da un uomo. Mille e dugento muli, o cammelli, erano desti-