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tore del cristianesimo: ma nella pubblica angustia era stato astretto il Prefetto del Palazzo ad impiegare, in servigio dello Stato e per lo stipendio dei soldati, le ricchezze, o almeno le rendite dei vescovi e degli abati. Fu dimenticato il suo merito per sovvenirsi solamente del suo sacrilegio, e un Concilio di Francia osò dichiarare1, in una lettera ad un principe Carlovingio, che il suo avo era dannato, che quando ne fu aperta la tomba furono spaventati gli spettatori da un odor di fuoco e dalla vista di un orrido drago, e che un Santo di quel tempo avea goduto lo spettacolo di vedere ardere l’anima ed il corpo di quel sacrilego negli abissi per tutta l’eternità2.

[A. D. 746-750] Nella Corte di Damasco non fece tanta impressione la perdita d’un esercito e d’una provincia in occidente, quanto l’esaltazione e i progressi d’un rivale domestico. Eccettuati quei della Sorìa, giammai i Musulmani non aveano amato la Casa d’Ommiyah. Aveanla veduta sotto Maometto perseverare nell’i-

  1. Non è da meravigliarsi, che in quei tempi si scrivessero, e si spacciassero simili cose; la storia dei secoli di mezzo n’è piena; l’interesse od il fanatismo le dettava, e l’ignoranza e la stupidità le avvalorava, e le accettava. Ciò nulla ha a fare coll’intrinseco della religione cristiana tanto nella parte dogmatica, che nella parte morale. (Nota di N. N.).
  2. Questa lettera pastorale diretta a Luigi il Germanico, nipote di Carlo Magno, è probabilmente composta dall’astuto Hincmar, ha la data dell’anno 858, ed è segnata dai vescovi delle province di Reims e di Rouen (Baronio, Annal. eccles., A. D. 741; Fleury Hist. eccles., t. X, p. 514, 516). Baronio stesso, per altro, e i critici francesi rigettano con disprezzo questa favola inventata dai vescovi.