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dell'impero romano cap. lii. 335

gia non andavan disgiunti dal titolo di neghittosi1. Regnavano essi senza autorità, e morivano senza gloria. Un castello nelle vicinanze di Compiègne2 era la residenza loro, o per meglio dir la prigione; ma tutti gli anni, nei mesi di marzo e di maggio, un carro tirato da sei buoi li conduceva all’assemblea dei Franchi, ove davano udienza agli ambasciatori stranieri e ratificavano gli atti dei Prefetti del Palazzo. Era questo ufficial domestico il ministro della nazione, e il padrone del principe a un tempo: così la carica pubblica era divenuta il patrimonio di una sola famiglia. Il primo Pipino avea lasciato alla sua vedova e al figlio che n’ebbe la tutela d’un re già venuto all’età matura, e questa debole reggenza era stata rovesciata dai più ambiziosi fra i bastardi di Pipino. Era quasi disciolto un governo mezzo selvaggio e mezzo depravato: i duchi tributari, i conti governatori delle province, e i signori dei feudi ad esempio dei Prefetti del Palazzo s’adoperavano a farsi

  1. Eginhart, De vita Caroli magni, c. 2, pag. 13-18, edizione di Schmink, Utrecht, 1711. Qualche critico moderno accusa il ministro di Carlo Magno d’aver esagerata la debolezza dei Merovingi; ma le sue osservazioni generali sono esatte, e i lettori francesi godran sempre di ripetere i bei versi del Leggio di Boileau.
  2. Mamaccae sulla Oisa, tra Compiègne e Noyon, chiamato da Eginhart perparvi redditus villam (vedi le Note della carta dell’antica Francia nella raccolta di Don Bouquet). Compendium, o Compiègne, era un palagio più maestoso (Adriano Valois, Notitia Galliarum, p. 159); e l’abate Galliani, quel sì gioviale filosofo, potè dire con verità (Dialogues sur le commerce des blés) che era la residenza dei re cristianissimi e capellutissimi.