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dell'impero romano cap. lii. 331

produceva un fumo denso, e un’esplosione fragorosa, usciva una fiamma ardente e durevole, che non solo si alzava in linea perpendicolare, ma che colla stessa forza abbruciava di fianco e abbasso, ed invece di estinguerla l’acqua l’alimentava e le cresceva attività: non v’erano che la sabbia, l’orina, e l’aceto che potessero mitigare la furia di quel formidabile agente, dai Greci giustamente chiamato fuoco liquido, o fuoco marittimo. Si adoperava con pari successo contro il nemico, in mare e in terra, nelle battaglie e negli assedii. Si versava dall’alto delle mura mercè d’una grande caldaia. Si gettava in palle di pietra o di ferro arroventate, o pure si lanciava sopra strali e chiaverine coperte di lino e di stoppe, molto inbevute di olio infiammabile; altre volte si deponeva in brulotti destinati a portare in maggior numero di luoghi la fiamma divorante; per lo più lo faceano passare attraverso lunghi tubi di rame collocati nella parte anteriore d’una galea, la cui estremità, figurando la bocca di qualche mostro selvaggio, parea che vomitasse torrenti di fuoco liquido. Quest’arte di gran momento era accuratamente custodita in Costantinopoli come il Palladio dello Stato. Quando l’impera-

    sempre verdi, si raccoglie una stilla non ardente. Questa pestata col zolfo si lancia nei tubi delle canne, e si soffia colla bcca ed esce col fiato. (Alexiad. l. XIII, pag. 383). Altrove ella fa menzione della proprietà d’ardere κατα το πρανες και εφ’ εκατερα nel piano e dalle bande. Leone, al capo decimonono della sua Tattica (Opera Meursii, t. VI, p. 843, ediz. del Lami, Firenze 1745), parla della nuova invenzione del πυρ μετα βροντης και καπνου fuoco con fragore e con fumo. Queste sono testimonianze originali e di persone d’alto affare.