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revole, e, per valermi delle frasi dei Greci, la selva mobile adombrava la superficie dello stretto. Intanto dal generale Saracino s’era fissata la funesta notte destinata ad un assalto generale per terra e per mare. Per aumentare la fiducia del nemico, avea l’imperatore fatto abbassar la catena che custodiva l’ingresso del porto; ma intanto che i Musulmani stavano esaminando se convenisse giovarsi dell’occasione, o se avessero a temere di qualche insidia, venne a sorprenderli la morte. Lanciarono i Greci le lor barche incendiarie; gli Arabi, le lor armi, e le lor navi divenner preda delle fiamme, e quei vascelli che vollero fuggire si spezzarono gli uni contro gli altri, o furono inghiottiti dall’onde. Di modo che non si trova negli Storici alcun vestigio di quella squadra, che minacciava la distruzion dell’impero. I Musulmani ebbero però un disastro più irreparabile: morì il Califfo Solimano d’indigestione1 nel suo campo, presso Kinnisrin o Calcide in Sorìa, mentre era in punto di marciare a Costantinopoli col resto delle forze dell’oriente. Un parente nemico di Moslemah succedette a Solimano, e le inutili e funeste virtù d’un bigotto disonorarono il trono d’un principe dotato d’ingegno e di attività. Mentre il nuovo Califfo Omar attendeva a calmare ed a satisfare gli

  1. Il Califfo avea mangiato due pannieri d’ova e di fichi, cui divorava alternativamente, e avea finito il pasto con un composto di midolla, e di zuccaro. In una delle sue peregrinazioni alla Mecca mangiò Solimano in una volta diciassette melegranate, un capretto, sei polli, e gran quantità di uve di Tayef. Se la minuta del pranzo del sovrano dell’Asia è veramente esatta, bisogna ammirarne più l’appetito che il lusso (Abulfeda, Annal. moslem. p. 128).