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dell'impero romano cap. lii. 319

esse per molti giorni parecchi assalti lungo le mura dalla porta dorata al promontorio orientale, e l’urto delle colonne, poste di dietro, spingevano avanti i guerrieri della prima linea. Ma gli assedianti aveano calcolato male la forza e le difese di Costantinopoli. Da numerosa e ben disciplinata guarnigione erano protette le sue mura solide ed alte, e il valore Romano si riscosse in faccia al pericolo, onde era minacciata la religione e l’impero: gli abitanti fuggiaschi dalle province già conquistate, ricoverati colà, rinnovarono con miglior successo i modi difensivi usati in Damasco e in Alessandria, e sbalordirono i Saracini mirando i prodigiosi e strani effetti del fuoco greco. Una resistenza tanto ostinata gli determinò a volgersi ad imprese più facili; corsero quindi a mettere a sacco le coste d’Europa e d’Asia, che cingono la Propontide, e dopo aver tenuto il mare, dal mese d’aprile fino a settembre, si ritirarono per ottanta miglia dalla capitale nell’isola di Cisico, ove formato aveano i magazzini, e depositata la preda. Furon sì pazienti nella perseveranza, o sì deboli nelle operazioni, che per sei estati successive eseguirono l’istesso disegno d’assalto che terminò con ugual ritirata. Quindi ogni impresa, manchevole di effetto, scemava in essi il vigore non che le speranze di vincere, sino a tanto che i naufragi e le malattie, il ferro e il fuoco del nemico gli astrinsero ad abbandonare quell’inutile tentativo. Ebbero essi a piangere la perdita o a celebrare il martirio di trentamila Musulmani, che lasciarono la vita all’assedio di Costantinopoli, e i pomposi funerali di Abù-Ayub, o Giob, solleticarono la curiosità de’ cristiani medesimi. Questo Arabo venerando, uno degli ultimi com-