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dell'impero romano cap. li. |
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ciando ai confini della Tartaria indiana sino ai lidi del mare Atlantico; e se leviamo dal conto la Manica del vestito, per usare la frase dei loro scrittori, cioè la lunga ma stretta provincia dell’Affrica, doveva una carovana impiegare quattro o cinque mesi ad attraversare da qualunque banda, cioè da Fargana sino ad Aden e da Tarso sino a Surate, quella region dell’impero che formava per così dire un solo pezzo non interrotto1. Invano si sarebbe cercata colà quella unione indissolubile, e quella agevole sommessione che s’incontrava sotto l’impero d’Augusto e degli Antonini; ma la religion musulmana dava a sì vaste contrade una generale rassomiglianza di costumi e di opinioni. In Samarcanda, in Siviglia, con pari ardore, si studiavano la lingua e le leggi del Corano; e Mori e Indiani si scontravano in pellegrinaggio alla Mecca, s’abbracciavano, come concittadini e fratelli, e l’idioma degli Arabi era il dialetto popolare di tutte le province giacenti all’occidente del Tigri2.
- ↑ V. l’articolo Eslamiah (noi diciamo cristianità) nella Bibliothèque orientale (p. 325). Questa carta dei paesi soggetti alla religion musulmana è attribuita all’anno dell’Egira 885 (A. D. 995), ed è di Ebn-Alwardi. Le perdite sofferte dal Maomettismo in Ispagna da quel tempo in poi, si sono bilanciate coi conquisti nell’Indie, nella Tartaria e nella Turchia europea.
- ↑ Nel collegio della Mecca s’insegna come lingua morta l’arabo del Corano. Il viaggiator Danese paragona questo antico idioma al latino; la lingua volgare dell’Hejaz e dell’Yemen all’italiano, e i dialetti arabi della Sorìa e dell’Egitto e dell’Affrica ec. al provenzale, allo spagnuolo, e al portoghese (Niebuhr, Descript. de l’Arabie, p. 74 ec.).