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dell'impero romano cap. li. | 297 |
vesse per guiderdone la morte che aveva meritata, ma non l’ebbe per mano dei Saracini, avvegnachè sia smentito dalle testimonianze più irrefragabili ciò che si disse dell’ingratitudine loro verso i figli di Witiza. Ai due principi si restituirono i privati demanii del padre; ma alla morte del primogenito, chiamato Eba, sua figlia dallo zio Sigebut fu ingiustamente spogliata del paterno retaggio. Andò la figlia dal principe Goto a perorare la sua causa davanti al Califfo Hashem, ed ottenne la restituzione delle sue proprietà; fu data in matrimonio ad un nobile Arabo, e i suoi due figli, Isacco ed Ibrahim, furono in Ispagna accolti con quei riguardi che alla nascita e alla ricchezza loro si convenivano.
Una provincia conquistata prende facilmente le abitudini del vincitore, sia per l’introduzione degli stranieri, sia per lo spirito di imitazione che s’insinua ne’ nazionali: così la Spagna, che avea veduto alternativamente mischiarsi al proprio sangue quello dei Cartaginesi, dei Romani, dei Goti, in poche generazioni venne pigliando il nome ed i costumi degli Arabi. Dietro ai primi generali ed ai venti Luogo-tenenti del Califfo, che si succedettero in quel paese, giunse pure un seguito numeroso d’ufficiali civili e militari, i quali amavan meglio menare una vita agiata in paese lontano, che vivere stentatamente in
alcuna notizia. La prima di queste, autentiche amendue, era stata composta da un nipote di Musa, sfuggito alla strage della famiglia; e la seconda dal Visir del primo Abdalrahman, Califfo di Spagna, che aveva potuto conversare con qualche veterano di quel conquistatore (Bibl. arabico-hispana, t. II, p. 36-139).