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dell'impero romano cap. li. |
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di Damasco biasimò il procedere di Musa, entrò in sospetto delle sue intenzioni, e la tardanza sua ad obbedire al primo ordine, che lo richiamava, ne fece venire un secondo più severo e perentorio. Fu spedito dal Califfo un intrepido messaggero al campo di Musa, a Lugo in Galizia, e quivi alla presenza dei Musulmani e dei cristiani afferrò la briglia del suo cavallo. Fosse la fedeltà di Musa, o quella delle sue milizie, non seppe egli pensare a disobbedire; ma fu mitigata la sua disgrazia dal richiamo del suo rivale, e dalla licenza ch’egli ebbe di dare i due governi che aveva a due suoi figli Abdallah e Abdelaziz. Nel suo viaggio trionfale da Ceuta a Damasco, fece pompa delle spoglie dell’Affrica e dei tesori della Spagna, ed aveva al suo seguito quattrocento Goti nobili che portavano corone e cinture d’oro. Si valutava a diciotto ed anche a trentamila il numero dei prigionieri maschi e femmine trascelto, secondo la nascita e bellezza loro, a decorare il trionfo. Giunto a Tiberiade in Palestina seppe da un corriere di Solimano, fratello di Valid ed erede presuntivo del trono, essere il Califfo infermo di pericolosa malattia, e che Solimano desiderava che Musa riservasse all’epoca del suo regno lo spettacolo dei trofei della sua vittoria. Se fosse guarito Valid, sarebbe stata colpevole la dilazione di Musa; quindi egli proseguì il suo cammino e ritrovò già sul trono un nemico. Fu esaminata la sua condotta da un giudice parziale: il suo avversario era caro al popolo, e quindi fu quegli dichiarato reo di vanità e di mala fede, e l’ammenda, a cui fu condannato, di dugentomila pezze d’oro, se non lo ridusse alla miseria divenne una prova delle suo rapine; l’indegno trattamento che aveva usato